Visitare Fano
Fano romana e medievale
La città ha antiche origine umbre e divenne poi possedimento romano col nome di Fanum Fortunae collegato al leggendario Tempio della Fortuna. Il tempio fu eretto sembra in occasione della vittoria romana del 207 a.C. lungo le sponde del fiume Metauro per celebrare la vittoria sul generale cartaginese Asdrubale; quest’ultimo varcate le Alpi con gli elefanti intendeva congiungersi al fratello Annibale, ma venne ucciso dalle legioni romane che sbaragliarono il suo esercito proprio in prossimità di Fano.
Il celebre architetto Vitruvio Pollione (sec. I a.C.) vi costruì, nel foro, una basilica, i cui resti, secondo alcuni archeologi, sarebbero da individuare nell’area sottostante alla Chiesa di S. Agostino. La struttura urbanistica è quindi legata all’epoca Romana a cui risalgono le imponenti mura connesse all’Arco di Augusto, antica porta di accesso alla città dalla via Flaminia voluta dal Console Flaminio. La via consolare, resa stabile nel 223 a.C, entrava nella città di Fano segnando il decumanus maximus (attuale via Arco di Augusto) e ripartiva per Rimini, uscendo dalla Porta della Mandria, collegando così Roma con l’Adriatico e con il nord d’Italia.
L’Arco, non trionfale ma porta urbica, viene dedicato all’imperatore Augusto(Caio Giulio Cesare Ottaviano), dalla popolazione della dedotta Colonia Julia Fanestri, come ringraziamento per aver innalzato le alte mura (9 sec d.C.) a difesa del castrum. Si tratta di uno dei pochi archi con attico, quasi totalmente perduto, esistenti ancora in Italia (altri sono ad Aosta e l’altro, Spello).
Importanti reperti romani si conservano nel Museo Archeologico della città, una raccolta epigrafica, statue, busti e teste tra cui una splendida testa muliebre con pettinatura all’Ottavia, il cippo graccano, e mosaici tra cui il Nettuno e quello detto della “pantera”, un tappeto musivo ben conservato risalente ipoteticamente al II sec. d.C. di colore bianco e nero con motivi geometrici, cornici a matasse e la raffigurazione della pantera nella parte centrale.
Fano malatestiana
Dopo le distruzione delle invasioni gotiche, Fano passò sotto l’esarcato di Ravenna divenendo parte della Pentapoli Marittima, ma nella metà del 700 divenne pomo della discordia tra papato e impero per il possesso del territorio.
Di queste lotte ne seppero approfittare i Fanesi rendendosi indipendenti ed elevando la città, nel XII secolo, a libero Comune.
A causa delle prepotenze dei municipi vicini, Fano si alleò alla Repubblica di Venezia con la quale firmò un trattato di amicizia (anno 1140) durato circa due secoli, ma infine come tutti i territori limitrofi, dovette assoggettarsi alla Chiesa. In epoca medievale non mancarono le discordie tra le nobili famiglie della città appartenenti alle fazioni politiche rivali dei Guelfi e dei Ghibellini: i Del Cassero e i Da Carignano. In questo stato di disordine i Malatesti, potenti signori della vicina Romagna che avevano mire espansionistiche nella Marca, imposero la loro signoria, dopo aver eliminato gli esponenti delle due maggiori famiglie nobiliari.
L’episodio del cruento eccidio avvenuto nell’anno 1304, in cui morirono Guido Del Cassero e Angelo Da Carignano, gettati in mare a largo di Cattolica dai sicari di Malatestino Malatesta, viene descritto da Dante Alighieri nel XXVIII Canto dell’Inferno della Divina Commedia. I Malatesta, nominati vicari del Papa governarono per circa due secoli durante i quali la città beneficiò della munificenza di Sigismondo Pandolfo, signore di Rimini, i cui domini andavano da Cervia a Senigallia. Nella Corte fanese condusse Ginevra d’Este, sua prima moglie e poi la seconda, Polissena Sforza.
La dominazione malatestiana si concluse nel 1463 dopo un lungo assedio tenuto dall’irriducibile nemico di Sigismondo Pandolfo: Federico da Montefeltro.
Quest’ultimo consegna Fano alla Chiesa, la quale concede alla città la ‘libertas ecclesiastica’.
Risalenti all’epoca medievale sono la Cattedrale, il Palazzo della Ragione. Restano dell’epoca Malatestiana le Tombe e la Corte, la Rocca e la Porta Maggiore con il Bastione e le mura.
Fano dal classicismo al neoclassicismo
Ottenuta la libertà la città dimostrò di volerla mantenere ma gli eventi precipitano. Dopo l’uccisione del governatore pontificio Paolo Cybo, il sanguinario Cesare Borgia, figlio di Papa Alessadro VI, fece di Fano uno dei capisaldi del suo Ducato di Romagna.
Questa pseudo libertà vacillava quindi ogni qualvolta veniva eletto un nuovo pontefice a causa del forte nepotismo che gettava la città in balia alle aspirazioni dei congiunti del Papa.
Inevitabilmente le continue lotte condussero infine a portare il Consiglio civico in mani a poche famiglie privilegiate.
Fra gli aspetti positivi, il mecenatismo di nobili e prelati che portò a Fano ad operare artisti famosi le cui opere abbelliscono ancora oggi le Chiese e i Palazzi della città. Giungono dalla Lombardia i noti “Mastri comacini” che gelosamente custodivano i segreti del loro operato, come lo scalpellino Bernardino di Pietro da Carona e Giovanni Bosso. Tra gli architetti Jacopo Sansovino a cui viene attribuita la progettazione di fine ‘ 500 della Chiesa e convento di San Paterniano e Antonio e Luca San Gallo che rinforzarono le mura con un grande bastione angolare.
Dell’epoca rinascimentale restano la Casa degli Arnolfi e l’arco Borgia Cybo a memoria dell’ ottenuta libertà ecclesiastica, la facciata della Chiesa e Loggia di San Michele e il loggiato della Chiesa di Santa Maria Nuova in cui si conservano opere di Raffaello Sanzio, del Perugino e Giovanni Santi, un coro ligneo intarsiato opera dei fratelli Barili da Siena.
Del XVI sec. la fontana di piazza XX settembre ornata con la statuetta simbolo della dea della Fortuna delll’urbinate Donnino Ambrosi.
L’epoca barocca ha dato a Fano la bella chiesa di San Pietro in Valle, un’autentica galleria di ori e stucchi, marmi e pitture tra cui la volta affrescata dall’urbinate baroccesco Antonio Viviani detto il sordo con le storie di San Pietro
In campo pittorico furono attivi a Fano tra XVI e XVII sec. il Domenichino (Duomo – episodi della Vita della Vergine), Ludovico Carracci (Duomo). Altre opere di grandi pittori sono presenti nella Pinacoteca della città: Reni, Guercino, Domenichino, Cantarini, Guerrieri, Santi, Giambono, e i pittori fanesi. Nell’antico Palazzo della Ragione c’è il Teatro della Fortuna eretto da Giacomo Torelli ma ridisegnato da Luigi Poletti nell’ottocento.
La chiesa di Santa Maria Nuova a Fano
E’ l’antica chiesa del SS. Salvatore che i Minori osservanti ottennero nel 1518 (la riconsacrazione ebbe però luogo solo nel l557), trasferendovisi (portale, pale e coro compresi) dall’antico loro omonimo convento extraurbano in località S. Lazzaro.
Di tale periodo resta il bel portico a tre campate, abbellito dal ricomposto portale a candeliere dell’antica chiesa abbandonata, opera pregevolissima dello scalpellino-scultore Bernardino di Pietro da Carona realizzata nel 1498.
L’interno fu invece completamente rinnovato dopo il 1708 su disegno di Domenico Vici e tipici dello stile tardobarocco sono i medaglioni ovoidali con immagini di Santi posti ad ornamento delle paraste, la volta a sesto ribassato e i grandi altari dipinti a finti marmi Splendide opere d’arte sono le pale poste nel primo e secondo altare sulla sinistra: raffiguranti la prima la Visitazione (dipinto fra i più apprezzati di Giovanni Santi) e la seconda l’Annunciazione (fra i dipinti più soavi e gentili di Pietro Vannucci detto il Perugino), entrambe databili intorno al 1488-90.
Non meno prezioso, nel terzo altare sulla destra, è il complesso comprendente la grande pala della Madonna in trono con il Bambino e Santi (opera firmata dal Perugino e datata 1497), la sovrastante lunetta della Pietà e la bellissima predella con i cinque scomparti delle Storie della Vergine (Nascita, Presentazione al Tempio, Sposalizio, Annunciazione e Assunzione) alla cui realizzazione c’è chi pensa abbia collaborato il quattordicenne Raffaello Sanzio, allievo allora del Perugino.
Di grande pregio è il coro intarsiato e intagliato dai fratelli senesi Antonio e ndrea Barili che lo portarono a termine nel 1489. Proviene dall’antica chiesa di S. Lazzaro ed ha purtroppo subito manomissioni e rifacimenti per i danni subiti nel corso dei secoli e soprattutto in seguito al crollo del campanile durante il secondo conflitto mondiale.
Usciti dalla chiesa si prende la via Alavolini che ha sulla sinistra la mole imponente dell’antico Palazzo Alavolini (poi Borgogelli-Ottaviani e Franchi-De Cavalieri). L’edificio è formato da due fabbriche distinte, separate da un vicoletto e unite sul fronte da un’unica facciata.
All’interno del primo fabbricato meritano una visita il grande scalone settecentesco (affine ad altri scaloni coevi attribuiti ad Arcangelo e Andrea Vici) e il salone del piano nobile con pregevole soffitto ligneo a cassettoni (sec. XVI) e raffinate composizioni a stucco sulle pareti con episodi mitologici in chiave rococò opera del plasticatore milanese Giuseppe Tamanti (seconda metà del sec. XVIII).
Il secondo fabbricato ha invece un luminoso atrio con graziosi portaletti rinascimentali, aperto mediante tre arcate su un vasto giardino a cui fa da sfondo una parete monumentale a timpano con nicchione centrale, statua di S. Michele e sottostante fontana (sec. XVIII).
Proseguendo, la via Alavolini sfocia in via Montevecchio davanti al severo Palazzo Vescovile, ricostruito quasi interamente nella seconda metà del sec. XVII, ma che conserva sulla destra anche una parte del primitivo paramento romanico con tracce di elementi scultorei coevi (sec. XII).
Nell’atrio e nei saloni del piano superiore sono conservate alcune epigrafi romane, una testa di Cibele, (o di Tyche-Fortuna) appartenuta ad una statua di grandi dimensioni e diverse tele dei secoli XVII e XVIII, comprese opere del Guerrieri (Virtù Cardinali) e del Ceccarini (Martirio di S. Lucia).
Nello stesso palazzo ha anche sede l’Archivio Diocesano e Capitolare che custodisce importanti documenti (pergamene, codici, corali, libri di adunanze e contabili, lettere, ecc.) oltre a messali, parati, pastorali, vasi e arredi sacri.
Percorrendo via Montevecchio in direzione ovest, si raggiunge e oltrepassa il piccolo voltone che sfocia nella raccolta piazzetta Cleofilo, dominata dalla spoglia facciata tardocinquecentesca della chiesa di S. Maria del Suffragio.
La Basilica Cattedrale
Le sue origini, sotto il titolo di S. Maria Maggiore, sono forse anteriori al X secolo, ma l’attuale costruzione, dedicata all’Assunta e che accoglie sotto la mensa dell’altare maggiore le ossa del vescovo-comprotettore
S. Fortunato, risale al 1140. E’ infatti posteriore all’incendio che nel 1124 distrusse la vecchia cattedrale: chiesa che avrebbe a sua volta sostituito la prima minuscola protocattedrale di S. Pietro in Episcopio.
Artefice ‘docta manu’ della ricostruzione fu quel Magister Rainerus di cui fa cenno l’antica epigrafe conservata all’interno della chiesa.
Oggi, pertanto, l’edificio si presenta con una facciata tipicamente romanica a strutture miste di laterizi e pietra arenaria, rustica e arcaica nella sua semplicità. Semplice e bello è soprattutto il portale con evidenti influssi cosmateschi nelle decorazioni a tarsie marmoree che ravvivano i pilastrini e gli archi della strombatura, alternati alle lisce colonnette in marmo bianco e rosa: il tutto contrapposto alle immagini in forte rilievo dell’agnello divino scolpito al centro dell’architrave.
La cornice scolpita del grande occhio superiore denuncia purtroppo il vuoto dell’antico rosone scomparso; come pure scomparsi sono gli originali bacini in ceramica sopra gli archetti ciechi dello pseudologgiato laterale.
L’interno (a tre navate con basse volte a crociera e massicci pilastri un tempo polilobati) è purtroppo ricoperto da un amorfo intonaco giallino che nasconde gli originari paramenti a mattone, fatta eccezione per alcune arcate rimesse a nudo durante il generale restauro del 1940-41.
La struttura generale della chiesa resta comunque quella originaria, eccezione fatta per il presbiterio dove le tre cappelle attuali hanno sostituito altrettante absidi e dove è scomparsa l’antica cripta di cui restano tracce sulla parete a destra del transetto. Anche le cappelle laterali sono state aggiunte in tempi successivi.
L’imponente pulpito è opera frammentaria così composta nel 1941 mettendo insieme sculture varie appartenute all’antica chiesa come i quattro arcaici leoni stilofori, le cornici zoomorfe a fascia e gli stupendi altorilievi della balaustra (Adorazione e Sogno dei Magi, Annunciazione e Visitazione, Fuga in Egitto e Sogno di
S. Giuseppe, oltre ai Pastori adoranti utilizzati per la cattedra vescovile), provenienti forse tutti dall’antica tribuna scomparsa e non lontano, per modello e stile, dalle opere dei maggiori maestri romanici dell’area lombardo-emiliana.
Sul retro di due lastre un’iscrizione e un bellissimo bucranio con festone e patera documentano la provenienza delle stesse da un’antica ara votiva dedicata agli Dei Mani.
Molto probabile, d’altronde, è che in epoca romana sorgessero sull’area della Cattedrale e del retrostante Episcopio uno o più edifici sacri pagani da cui non possono non provenire i vari frammenti statuari e scultorei rinvenuti (e in massima parte asportati) in tempi diversi.
E’ rimasto in loco, dopo essere stato riutilizzato per scolpirvi sul retro una maestosa figura regale assisa in trono, un frammento di fregio che presenta i volti umanizzati di due misteriose maschere gemelle. Altra interessante opera scultorea è il frammento del cosiddetto sarcofago del citarista, riutilizzato per la moderna tomba del vescovo Vincenzo Del Signore (seconda cappella sulla destra), che pare raffigurare il noto episodio di Re David danzante.
La terza cappella, sempre sulla destra, è la fastosa Cappella Nolfi, così denominata dai patrizi fanesi Guido e Cesare Nolfi che dopo il 1604 la fecero interamente trasformare con la collaborazione di artisti vari, compreso l’architetto Girolamo Rainaldi, che diede il disegno per la ricca decorazione plastica della volta e delle pareti laterali (realizzate dallo stuccatore Pietro Solari) nei cui riquadri Domenico Zampieri (il Domenichino) affrescò tra il 1618 e il 1619 i sedici bellissimi episodi della Vita della Vergine.
Dell’anconetano Andrea Lilli è invece la grande tela raffigurante Il Paradiso e l’Assunta (intorno al 1606) posta sulla parete dell’altare, mentre dello scultore Francesco Caporale sono i busti dei due Nolfi collocati (dopo il 1612) sui rispettivi monumenti funebri. Altra importante opera pittorica è la bella tela con la Vergine in Gloria e i Santi vescovi comprotettori Orso ed Eusebio di Ludovico Carracci (1613), posta sull’altare della cappella a destra del presbiterio e affiancata dalle immagini di S. Antonio Abate e S. Francesco del fanese Bartolomeo Giangolini che del Carracci fu allievo.
Dal lato opposto è la settecentesca cappella del SS. Sacramento che ha sull’altare un Gesù con il SS. Sacramento del fanese Giuseppe Luzzi (sec. XVIII) e sulle pareti laterali due belle tele raffiguranti la Caduta della manna e l’Ultima cena, opera entrambe di scuola bolognese, ma non immuni da influssi barocceschi (sec. XVII). Di un ignoto manierista forse locale è invece la Caduta di S. Paolo da cavallo sull’altare della prima cappella a destra.
La grande Assunta che occupa la parete di fondo del coro è infine opera di Sebastiano Ceccarini e sostituisce l’antica ancona (forse un polittico) donata alla chiesa da Pandolfo III Malatesti nel 1427 e forse andata distrutta nell’incendio che nel 1749 ebbe a devastare il presbiterio.
Dono di Pandolfo III era stato anche il primo organo a tre ali, realizzato dal famoso Paolo d’Adria che determinò nel tempo la nascita e lo sviluppo di quella Cappella Musicale, rimasta in vita fino ai primi decenni del nostro secolo, che ebbe fra i suoi Maestri più o meno noti il celebre Ludovico Grossi da Viadana (biennio 1610-12), il fanese Francesco Ferrari, Antonio Gaetano Pampini, Paolo Benedetto Bellinzani, Carlo Sodi, Francesco Vici, Vincenzo Rastrelli pure fanese, Giuseppe Ripini e diversi altri ancora.
Usciti dalla chiesa e tornati in via Arco d’Augusto, si osservi sulla destra il caratteristico sperone angolare dell’antica Casa degli Arnolfi, interessantissima costruzione che sopra un loggiato in pietra di epoca medioevale (oggi chiuso) ha due piani di finestre rinascimentali dalla palese impronta lauranesca e un finissimo cornicione in cotto lavorato coevo.
Poco più avanti è l’incrocio con il corso Matteotti, l’antico umbilicus della città romana, il punto dove il decumanus maximus incontrava quello che era (anche se non tutti si dichiarano concordi) il cardo maximus.
Qui, scavi effettuati sull’area dell’adiacente giardino di Piazza Amiani, ricavato alla fine del secolo scorso al posto del demolito monastero dei SS. Filippo e Giacomo, hanno fornito abbondante materiale archeologico e messo in luce i resti di un quadriportico (basi e capitelli in pietra e poche tracce dei fusti in laterizio) in cui si è pensato di poter identificare i resti dell’antico Forum della città romana. Altri invece hanno ipotizzato trattarsi dell’area porticata di una Palaestra (il tutto è visibile nei sotterranei delle ex Scuole Elementari ‘L. Rossi’ che occupano parte del lato orientale dei suddetti giardini).
Proseguendo ancora per via Arco d’Augusto, si fiancheggia a destra l’antico Palazzo Amiani (oggi Borgogelli-Avveduti) dall’interessante portale in pietra con sovrastanti simboli araldici (gigli e drago alato): edificio che a partire dal 1641 ospitò la sede della Accademia degli Scomposti, fondata dal nobile Gregorio Amiani nel 1641 e che fu la maggiore e la più nota della città nel corso dei secoli XVII e XVIII. Sulla sinistra si apre il piccolo sagrato antistante la vasta mole della chiesa di S. Domenico.