Itinerari Fano ed entroterra

Acqualagna, la capitale del tartufo

Acqualagna, è ormai famosa come Capitale del “Tartufo fresco tutto l’anno” che non è solo un modo di dire, ma una vera attività professionale e una grande occasione per gli estimatori. In corrispondenza dei periodi di raccolta delle diverse varietà di prodotto, nella cittadina si svolgono tre importanti manifestazioni fieristiche: Fiera Nazionale del Tartufo Bianco (fine ottobre – novembre) Fiera regionale del tartufo nero pregiato (penultima domenica di febbraio) Fiera regionale del Tartufo nero estivo (14 e 15 agosto).
Crocevia mondiale della produzione, del commercio e della degustazione del tartufo, Acqualagna richiama ogni anno con le sue fiere e manifestazioni, gourmet e appassionati da ogni parte d’Italia e d’Europa. Coloro che ne sono golosi sicuramente avranno fatto una sosta nei tanti ristoranti dove si può gustare in tutte le sue fantasiose varianti.
La piccola cittadina si trova alle pendici della bellissima Gola del Furlo, una delle sue principali attrattive: ‘canyon’ dai colori cangianti attraversato dal fiume Candigliano, a cui si accede da una stretta galleria fatta scavare dall’imperatore Vespasiano nel 76 d.c. per aprire il varco alla via Flaminia. Oggi Riserva Naturale dello Stato, area floristica e faunistica molto importante.
Anche il paesaggio creato dall’uomo offre “frutti” pregiati: dall’Abbazia romanica di San Vincenzo con la stupenda cripta, al Santuario della Madonna del Pelingo, alla chiesa romanico-gotica dell’Annunziata con portico ogivale e affreschi trecenteschi.

Fossombrone

Questa cittadina è il maggior centro della media Val Metauro ed è caratterizzato da un centro d’impronta medievale disteso sul pendio di un colle e dominato da una Cittadella e dai ruderi della Rocca Malatestiana. La parte moderna del paese si estende sulla pianura su entrambi i lati del fiume Metauro mentre la zona industriale si trova lungo la via Flaminia, dopo la località San Martino del Piano in direzione di Fano.
Il nome Fossombrone deriva da Forum Sempronii nome dell’antico centro romano legato a sua volta alla figura del tribuno Caio Sempronio Gracco capitato in queste zone nel 133 a.C. per l’applicazione della legge agraria.
L’abitato era situato più ad est dell’attuale Fossombrone, in località S.Martino del Piano, fu presto elevato al rango di municipio (I sec. a.C.)e conobbe un periodo di splendore in epoca imperiale. L’antica città fu devastata dai Goti nel V sec. e dopo la vittoria dei bizantini di Narsete entrò sotto il dominio dell’Esarcato di Ravenna componendo la cosiddetta Pentapoli Annonaria assieme ad Urbino, Cagli, Gubbio e Jesi. Il colpo di grazia all’antico centro romano venne dato dai Longobardi di Liutprando che la distrussero nel corso dell’VIII sec. gli abitanti costruirono il nuovo centro sul colle che sovrasta l’attuale città.
Fossombrone come risulta dai documenti scritti, rimase fuori dal dominio della chiesa fino al 999, dopo di che passò sotto il potere di papa Silvestro II. Durante i primi decenni del XIII sec. sotto il pontificato di Innocenzo III la città fu feudo di Azzo VI d’Este, passando successivamente al figlio Aldobrandino e poi Azzo VII. Nel 1228 la famiglia Este per meglio tutelare il proprio dominio su Fossombrone dalle mire espansionistiche dei signorotti vicini subinfeudarono la città al vescovo Monaldo. Nei primi anni del XIV sec. lo Stato della Chiesa investì la famiglia Malatesta a signori della città, e nel loro duro governo provvidero alla costruzione di imponenti fortificazioni. Nel 1444 Galeazzo Malatesta signore di Pesaro vendette la città al conte Federico da Montefeltro, sotto la cui signoria, Fossombrone godette di un periodo di prosperità per il fiorire di produzioni di lana, carta, seta e per il rinnovamento edilizio. A Federico succedette il figlio Guidobaldo che vi dimorò quasi costantemente a causa dell’amenità del luogo e per il clima salubre, successe Francesco Maria Della Rovere nipote di Guidobaldo. Sotto i duchi Della Rovere la città fu notevolmente ampliata, Francesco Maria II nel 1616 fece espandere l’abitato nella zona pianeggiante al disotto del colle fino a toccare il fiume Metauro. Nel 1631 essendosi estinta la famiglia Della Rovere l’intero ducato d’Urbino e quindi anche Fossombrone passo sotto il diretto controllo della Chiesa del cui stato fece parte sino al 1860 anno di annessione al Regno d’Italia di cui seguirà d’ora in poi le vicende storiche. Danno un certo rilievo a Fossombrone alcune vie e quartieri del centro storico nati intorno al XV e XVI secolo, nel periodo in cui la cittadina fu eletta residenza di campagna della famiglia Della Rovere. Grande rilievo assume corso Garibaldi per i suoi palazzi quattro-cinquecenteschi come palazzo Staurenghi, Cattabeni, Comunale e Vescovile anche se hanno perso molto del loro antico splendore eccezion fatta per la Corte Alta. Tra gli edifici eclesiastici sono degni di nota le chiese di San Filippo, San Francesco, Sant’Agostino, Sant’Aldebrando sulla cittadella e la Cattedrale.

La Riserva Naturale della Gola del Furlo

gola del furlo Il Passo del Furlo si trova in provincia di Pesaro, sulla strada nazionale n.3 Flaminia a 35 km da Fano e 248 km da Roma. Ha grande fama storica per i grandiosi lavori che gli Etruschi prima e i Consoli e gli Imperatori romani poi vi fecero (muraglioni, tagli di roccia, gallerie) e per essere stato in tutti i tempi teatro di grandi battaglie. Il paesaggio è suggestivo, pittoresco e selvaggio. Le pareti rocciose dei monti Pietralata e Paganuccio, prodotte dall’erosione delle acque del Candigliano, si innalzano per centinaia di metri a picco su un verde laghetto e formano la caratteristica Gola del Furlo dal singolare aspetto alpino e dal fascino unico, che la inserisce di diritto tra le maggiori attrattive dell’Italia centrale. Le acque del fiume Candigliano si gettano a poca distanza nello storico fiume Metauro che ricorda la sconfitta e la morte di Asdrubale. Il primo attraversamento della Gola del Furlo fu operato dagli Etruschi. Successivamente i Romani, con la realizzazione della Flaminia, aprirono una grande galleria tuttora utilizzata. La località infatti prende il nome da Forulus e cioè dalla grande galleria romana aperta nel 76 d.C. dall’lmperatore Vespasiano entro la quale tuttora passa la strada Flaminia. A poca distanza sorgono l’Abbazia di San Vincenzo detta di Petra Pertusa (antichissimo nome del Furlo), preziosa opera di stile romanico del Vl secolo, e il Santuario del Pelingo (1820). Degna di attenzione è la tradizionale escavazione e lavorazione della pietra curata da bravi artigiani del luogo. Dalle cave vengono estratti anche fossili e minerali che destano interesse scientifico e rappresentano un elemento di curiosità per il turista. A pochi chilometri, l’antico borgo di Acqualagna è noto come zona di produzione e mercato dei tartufi più pregiati d’ltalia: l’appuntamento per i buongustai è alla Fiera Nazionale del Tartufo (prima quindicina di Novembre). Il Fiume Candigliano, affluente del Metauro, attraversa la Gola del Furlo incidendo le pareti del Monte Paganuccio (m. 976) e del Monte Pietralata (m. 889). Il paesaggio e la morfologia della Gola del Furlo permettono di ricostruire la storia geologica italiana da più di 200 milioni di anni fa: le sue rocce illustrano, come un atlante all’aperto, le principali formazioni dell’Appennino umbro-marchigiano.
Le pareti della Gola sono formate dalle rocce più antiche, appartenenti alla formazione del Calcare Massiccio, mentre salendo sul Monte Pietralata si possono osservare tutte le formazioni superiori quali: la Corniola, il Rosso Ammonitico (tanto ricercato dagli amanti dei fossili), i Calcari Nodulari, la Maiolica e la Scaglia.

Sant’Angelo in Vado

Attraversando una scacchiera di terre lavorate, fra boschetti, viali di pini e piante ad alto fusto, una selva di campanili danno il benvenuto a Sant’Angelo in Vado, capitale del tartufo bianco pregiato.
Questa è una terra accogliente e ospitale che vanta un primato di qualità per i prodotti tipici, non solo per il tartufo – re dei prodotti tipici marchigiani, ma anche per le carni D.O.C. e il Vin Santo.
Merita, quindi una visita il Centro Sperimentale di Tartuficoltura e la simulazione di cerca al tartufo.
Addentrandosi nel suggestivo centro storico, reso omogeneo dalle tante costruzioni in laterizio che si trovano lungo le viuzze medievali, spiccano eleganti palazzi, chiese con importanti opere d’arte, come quelle dei fratelli Zuccari. Si visitano gli scavi archelogici della Domus con i suoi mosaici, le Chiese di San Filippo, di Santa Caterina delle Bastarde, la pala di Federico Zuccari nella Sala Consiliare, la copia anastatica della Divina Commedia illustrata da Federico Zuccari nel XVI sec. Interessante è la simulazione di Cerca al Tartufo col tartufaio ed il suo fedele amico “il cane”.

Urbania

urbaniaSituata in un ansa del Metauro, Urbania, si presenta come una cittadina ordinata, contornata da strade porticate, da palazzi storici e numerose e belle chiese che conservano autentici capolavori.
Quando si chiamava ancora Casteldurante, la cittadina era celebre per la maiolica, la cui produzione, raggiunse la massima raffinatezza, sotto il governo dei Della Rovere (XVI sec.).
Anche se le opere più belle si trovano oggi sparse nei più importanti musei del mondo, nel Palazzo Ducale, dimora preferita dal Duca Francesco Maria II Della Rovere, ne sono esposte alcune a partire dal XV sec.
Questa tradizione non si è mai perduta ed ancora oggi le tante botteghe del paese ripropongono lo stile inconfondibile dell’istoriato e il decoro a “raffaellesche”. Oltre alle maioliche, il Palazzo conserva due rarissimi globi del Mercatore e una ricchissima raccolta di disegni e incisioni del ‘500 e ‘600.
Meritano una visita la Cattedrale, la singolare Chiesa dei Morti, che ospita al suo interno il cimitero delle mummie.

Urbino, un tuffo nel Rinascimento.

Le origini di Urbino sono antichissime. Il nome Urvinum deriva probabilmente dal termine latino urvus (urvum è il manico ricurvo dell’aratro).
urbinoNel 1375 circa, Antonio da Montefeltro, una delle maggiori figure di soldato e di politico della seconda metà del XIV secolo, seppe inserirsi nel gioco politico italiano del tempo, alleandosi nel 1376 con Firenze e Milano, legandosi quindi con Gian Galeazzo Visconti. Grazie al cresciuto prestigio, nel 1390, ottenne da parte del papa Bonifacio VIII il riconoscimento di tutti i suoi possessi. Tale situazione portò conseguenze benefiche anche sulla città che poté risollevarsi dallo stato di confusione in cui versava per le continue lotte, e poté vedere quel risveglio culturale ed edilizio, primo momento di quell’ascesa irresistibile cui andò incontro durante il governo del suo grande nipote Federico. A lui si devono la costruzione del palazzo della casata, oggi sede dell’Università, nonché i primi contatti con il mondo della cultura, che portarono alla realizzazione di importanti opere artistiche.

Gli successe Guidantonio che mantenne a sua volta un’accorta politica di equilibrio. Durante il suo dominio, nel 1416, i fratelli Lorenzo e Iacopo Salimbeni affrescarono l’oratorio di San Giovanni, portando nella città le esperienze più raffinate del gotico cortese.

urbinoAlla sua morte (1443) subentrò il giovanissimo figlio Oddantonio che, appena sedicenne, non solo non seppe mantenere la politica di equilibrio, ma dilapidò le scarse risorse economiche del ducato provocando una rivolta che sfociò nella congiura del 21 luglio 1444, durante la quale venne ucciso assieme a due ministri.

E’ a questo punto che compare la figura di Federico da Montefeltro, il personaggio più illustre che legherà la storia della città alla propria fama. Figlio naturale di Guidantonio, fratellastro di Oddantonio divenne, alla sua morte, signore di Urbino.
Da allora la sua vita fu un esempio di perfetto principe rinascimentale, uno dei protagonisti della vita italiana di quel secolo, grande condottiero, ma anche grande umanista, colui che fece costruire da Luciano Laurana la sua residenza, quella “città in forma di palazzo” secondo la definizione del Castiglione, che è anche il primo esempio di complesso architettonico ed urbanistico strettamente legato alla natura.

urbinoNegli anni successivi Federico da Montefeltro avrà significativi riconoscimenti: il papa lo chiamerà a Roma per nominarlo cavaliere di San Pietro e Gonfaloniere della Chiesa (poco dopo una sua figlia sposerà un nipote del papa, Giovanni della Rovere); Il re d’Inghilterra, Edoardo IV, gli conferirà l’Ordine della Giarrettiera; il re di Napoli l’Ordine dell’Ermellino.
La morte lo sorprese nel 1482, con il figlio Guidubaldo ancora fanciullo.

La sapiente tutela dello zio Ottaviano Ubaldini seppe conservargli tutti i poteri conquistati dal padre, anche se alterne vicende politiche italiane lo costrinsero ad abbandonare in fuga la città, sotto la pressione del Valentino che nel 1502 l’aveva conquistata. L’anno successivo, rientrato definitivamente in possesso del suo ducato, presero finalmente avvio anni sereni per la città e per la corte. Sarà proprio in tale clima culturale che si preparerà e affermerà il genio artistico di Raffello il quale, dopo la formazione nella bottega paterna e le prime opere eseguite per località del ducato, si muoverà su raccomandazione di Giovanna Feltria Della Rovere – verso Firenze e Roma dove raggiungerà il suo apice.

urbinoUnico problema della corte era la mancanza di eredi, così che, alla morte di Guidubaldo (1508) il ducato passò a Francesco Maria I della Rovere. Pur senza eguagliare gli splendori dei Montefeltro, la Corte roveresca continuò a radunare attorno a sé musicisti e scenografi, artisti e letterati: diverse sono le committenze a Tiziano, senza dimenticare le numerose opere fatte eseguire all’urbinate Federico Barocci che certamente costituì l’aspetto più qualificante della committenza degli ultimi Della Rovere.

Ma il fatto più negativo per la città si verificò quando la Corte, nel 1523, decise di trasferire la propria sede a Pesaro, con conseguente emarginazione di Urbino rispetto ai centri litoranei.
Iniziò un lungo periodo di declino che si protrasse fino all’epoca napoleonica la quale comportò per Urbino, come per molte altre città italiane, oltre alla soppressione di chiese, conventi e istituti religiosi, un ennesimo impoverimento del proprio patrimonio artistico con la distruzione di alcune opere (sculture in bronzo, fuse per scopi militari) e la deportazione di altre verso Milano, prima fra tutte la famosa Madonna col Bambino e Santi di Piero della Francesca che diventerà la celebre ‘Pala di Brera’.

L’eremo di Fonte Avellana.

avellanaL’eremo di S. Croce di Fonte Avellana, in comune di Serra Sant’Abbondio, è uno fra i monasteri più celebri d’Italia e comunque, per molti aspetti, il più importante centro monastico della regione.
La sua origine è molto incerta, come quella di altre istituzioni più che millenarie. Con tutta probabilità fu fondato nel 977 dal beato Lodolfo, nobile eugubino, che costruì le prime misere celle alle falde del monte Catria nella diocesi di Gubbio, agli estremi confini settentrionali del ducato di Spoleto, nel territorio dell’antica città di Luceoli.
La chiesa, dedicata a S. Andrea, venne edificata proprio vicino a una limpida fonte che scaturiva all’ombra di alberi di noccioli, “prope fontem quae ad avellanarum radices scaturiebat”.
L’eremo si affermò sotto la guida di San Pier Damiano che fu priore dal 1043 al 1072. La sua forte personalità impresse al piccolo romitorio un’orma profonda e duratura.
Dopo la morte di San Pier Damiano (22 febbraio 1072), il processo di ampliamento di Fonte Avellana non si arresta, tende anzi a svilupparsi ulteriormente per continui acquisti e donazioni di terre. Fonte Avellana diventa così un centro organizzatore di tutti gli aspetti della vita sociale ed economica delle comunità circostanti e in due secoli appena, all’inizio del secolo XI, raggiunse nell’Italia centrale una potenza economica, sociale e politica mai conseguita da nessuna altra congregazione religiosa. Il monastero sorge in una posizione rupestre quanto mai suggestiva.
Solitario, massiccio, esso si eleva su una propaggine del monte Catria (700 metri s.l.m.) e gli fanno degna corona monti ricoperti in gran parte da boschi.Si possono ammirare il chiostro, costruito in pietra ai tempi di S. Pier Damiano, come la suggestiva cripta, la possente e bella torre campanaria eretta nel 1482 dall’abate commendatario il cardinale Giuliano della Rovere, eletto poi papa col nome di Giulio B, la sagrestia, il refettorio e il coro finemente e pazientemente intagliati. Il locale più singolare è lo scriptorium voluto da S. Pier Damiano: un ambiente nudo, austero, ma luminoso, adibito ad officina libraria dove i monaci amanuensi ricopiavano i testi classici e miniavano gli antichi codici, che ancora oggi suscitano meraviglia e stupore.
E’ situato nel corpo di fabbrica romano-gotico che, sostenuto da un grande arco, sporge nella parte più antica del monastero. Quello che maggiormente sorprende il visitatore è, all’esterno, la complessa vastità dell’edificio e, nell’interno, il numero delle celle, l’ampiezza dei corridoi e la grandiosità delle sale.

Le grotte di Frasassi

frasassiI visitatori provano l’emozione di un mondo rovesciato, nascosto e bellissimo, fatto di ambienti suggestivi e ricchi di straordinarie sculture naturali, dove il silenzio è rotto solo dallo stillicidio delle gocce d’acqua che rende il complesso vivo ed in continua evoluzione. I sensi vengono ingannati e non si riesce più a valutare grandezza e distanze e la guida che ci accompagna, con le sue informazioni, ci sorprende e meraviglia. Le stalattiti, le stalagmiti, le colate calciche ed i laghetti cristallizzati, rappresentano la componente più bella delle grotte e sono l’espressione finale del lungo lavoro svolto dall’acqua piovana sulla roccia. Infatti, se i calcari sono fessurati, l’acqua della pioggia, penetra attraverso la superficie del terreno, circola all’interno delle rocce seguendone le fessure e, poiché nell’acqua è sempre presente una certa quantità di CO2, il calcare viene parzialmente sciolto e le fessure vengono allargate là dove la circolazione dell’acqua è maggiore. Il continuo stillicidio causa la cessione dell’anidride carbonica dall’acqua all’aria, il bicarbonato, ceduta la CO2, diviene insolubile e si deposita producendo splendide concrezioni. Oggi le grotte sono aperte al pubblico che può visitarle, accompagnato da guide professionali, su di un agevole percorso turistico della durata di circa 75 minuti.

I bronzi dorati di Pergola

pergolaIl gruppo è stato rinvenuto fuori da qualsiasi contesto urbano, non molto distante dall’intersezione tra la via Flaminia e la via Salaria Gallica. Il luogo di ritrovamento, isolato e periferico nel contesto storico antico, fa pensare che il gruppo sia stato rimosso dalla sua originale collocazione e accantonato in un ripostiglio in età tardoantica o bizantina, alcuni ipotizzano a causa di una damnatio memoriae ma questa tesi è oggi sempre meno accreditata. Il luogo dell’originale collocazione è ancora incerto, l’ipotesi più accreditata è quella che vede il gruppo posto su un basamento in un’area pubblica (probabilmente il foro) di una delle città romane vicine al luogo del ritrovamento. Il gruppo è composto da due cavalieri, due donne e due cavalli. Tutti i personaggi probabilmente facevano parte di un’unica famiglia di rango senatoriale. L’identificazione dei personaggi è incerta e nel tempo si sono susseguite diverse ipotesi. Inizialmente si era identificato il gruppo con la famiglia imperiale dei Giulio-Claudi, datando le statue tra il 20 e il 30 e si erano interpretati i cavalieri come Nerone Cesare figlio di Germanico e Druso III e le donne come Livia Drusilla e Agrippina maggiore.
L’ipotesi attualmente più accreditata prevede una datazione nell’età cesariana tra il 50 a.C. e il 30 a.C. e identifica i personaggi come appartenenti ad una prestigiosa famiglia legata al territorio del ritrovamento, l’ager Gallicus. All’interno di questo inquadramento storico rimangono diverse ipotesi di identificazione: le principali proposte vedono da una parte la famiglia dei Domizi Enobarbi, dall’altra la coppia composta da Marco Satrio (senatore e patrono di Sentinum, odierna Sassoferrato) e Lucio Minucio Basilo (originario di Cupra Maritima, odierna Cupra Marittima, futuro cesaricida). Un’ulteriore ipotesi vede il gruppo collocato originariamente nell’esedra dell’Heraion di Samo e i personaggi appartenenti alla famiglia di Cicerone, identificando con il cavaliere Cicerone stesso.

Il museo del Balì

baliLa settecentesca Villa del Balì è la sede ideale per un centro dedicato alla scienza. Non solo per la sua elegante, spaziosa architettura, per i servizi e le strutture che la completano (osservatorio, ristorante, sala conferenze, foresteria), ma soprattutto per lo spirito e la passione che storicamente hanno caratterizzato il luogo: qui cinque secoli fa la nobile famiglia Negusanti osservava il cielo attraverso quattro torri di osservazione.
Oggi, nella veste più moderna di un “science centre”, il Museo del Balì rinnova un’antica tradizione di ricerca, nella speranza che il piacere della scoperta possa tornare a risiedere nella Villa e ad entusiasmare i visitatori di tutte le età. Grazie all’approccio interattivo dell’esposizione e dei laboratori, il museo del Balì presenta una scienza tutta da scoprire in prima persona; per molti l’inizio di un’ avventura da proseguire tutta la vita.
Il Balì si propone come un patrimonio materiale (per il suo valore storico), ma anche immateriale, come nodo di una rete con le scuole, con gli altri musei e con le realtà turistiche del Centro Italia e oltre. Una nuova porta della scienza si è aperta, ognuno farà le proprie scoperte.

Comments are closed.